"nella sua tragica disperazione si strappava brutalmente i capelli della parrucca" [Carlos Diaz Dufoo 1861-1941
Crediamo
che per cercare di rappresentare quello che è il nostro stato
d’animo attuale frase migliore di quella di Dufoo non ci possa
essere. Nonostante la svolta [per noi epocale] del passaggio al
formato cartaceo con cui rinvigorire la nostra voglia di follia
sentiamo che c’è ancora molto da fare. Soprattutto a livello di
mentalità. È qui che crediamo che le lacune si facciano
maggiormente evidenti. Le parole del buon vecchio Carlos
rappresentano in modo inequivocabile quella che è la realtà in cui
ci troviamo. Sotto il sole nero della crisi occidentale tutto tace.
Gli impulsi rinnovatori latitano e le nostre menti si sono
definitivamente adagiate in un quieto vivere che sopravvive grazie
all'assenza di ogni animosa velleità di ribellione. L’orizzonte
verso cui abbiamo puntato lo sguardo sognando un domani rivela quindi
una bonaccia assoluta caratterizzata da una totale assenza di
inerzia. Stiamo vivendo il momento forse peggiore della nostra breve
e per certi versi inutile esistenza. Certi che la sopravvivenza passi
inevitabilmente attraverso il mutamento non possiamo che esprimere
soddisfazione per questo punto di partenza che sancisce l’inizio di
un nuovo corso. Questa nostra masturbatoria [auto]gratificazione
viene però ad essere spenta sul nascere. Il contorno di questo circo
massmediatico in cui siamo giocoforza costretti a muoverci
continua nel suo silente e soffocante stillicidio. Siamo una goccia
di sangue [marcio] in un mare inquinato dai liquami della stucchevole
e supponente superficialità. Il problema è però solo nostro. Siamo
infatti noi a non essere in grado di andare oltre ed isolare i nostri
"cattivi pensieri". Il nostro è un viaggio a ridottissima
tolleranza che non prevede almeno in questa fase un'opera di censura
del nostro malessere. Il dinamico immobilismo di chi è andato nel
corso degli anni sostituendosi in modo assolutamente speculare a ciò
che puntualmente e costantemente denigrava non perde un colpo. Il
pensiero unico dominante di matrice politicamente corretta pare non
risentire del tempo e delle stagioni. Ormai è fin troppo chiaro che
cosa sia obbligatorio esaltare e che cosa invece rappresenti il
male assoluto. Siamo tutti incolonnati come in coda alla cassa del
supermercato.
Conosciamo
una sola risposta, un solo slogan, un solo credo. Ma lo conosciamo
bene. È purtroppo andato perso il valore reazionario e ribelle dei
nostri gesti. Ormai per stare al passo coi tempi ed avere una propria
dimensione riconosciuta [questo tra l'altro è un punto sul quale
occorrerebbe riflettere approfonditamente ma non è il momento di
farlo ora, ne parleremo sul prossimo numero] dagli altri [perché
alla fine è questo che conta, il riconoscimento da parte della
collettività virtuale] bisogna sostenere il già visto, il già
sentito e l'inutile. Qui potremmo deragliare e cambiare completamente
argomento visto che si collocherebbe alla perfezione in questo
preciso punto e in questo preciso istante un ragionamento di qualche
giorno fa con una nostra amica scrittrice, ma visto quanto teniamo a
lei e all'argomento in questione preferiamo rimandare ad uno dei
prossimi numeri. Ogni cosa a suo tempo. Tornando al nostro discorso
precedente sentiamo forte la voglia di gridare quanto si sia ormai
quasi esaurita la carica dirompente di un movimento che rivendicava
una propria identità alternativa alle leggi di mercato e alle sue
morali. Oggi si vivacchia cercando di mantenere posizioni
politicamente corrette che ci permettano di restare nel giro che
conta pur senza contribuire minimamente a spostare il benché minimo
equilibrio. Fino ai casi clinici in cui si è diventati la caricatura
di un mondo già di per se ridicolo. Quello per intenderci che
abbiamo contestato e demonizzato per anni e che ora rappresentiamo in
pieno. Siamo diventati quello che abbiamo sempre combattuto. Possiamo
fare finta di non capirlo ma le cose stanno esattamente in questo
modo, che ci piaccia o no. Non solo, continuiamo ad alimentarlo in
modo continuo con la nostra fretta di consumare fagocitare e
inglobare senza aver minimamente riflettuto sul significato di quel
che stiamo facendo/dicendo/pensando/comprando. Ormai ciò che è
rottura non ci appartiene mentre andiamo in estasi per tutto ciò che
suona esattamente come deve. Siamo talmente legati ai dettami del
perfetto alternativo inserito nel contesto di presunta rottura che
non ci accorgiamo che siamo i più omologati di tutti. Il vero
problema però non è questo ma la stasi creativa in cui siamo
precipitati. Non succede più nulla. Siamo in un vortice di acque
chete dove nessuno corre il rischio di affogare. Aspettiamo una voce
fuori dal coro con cui discutere, gridare e strapparci i capelli che
non abbiamo più ma stiamo cominciando a pensare che moriremo
aspettandola sentendoci ancora una volta fuori posto.